un non ricordo di una non maestra

Mattia a settembre andrà alle elementari.

Due mesi fa ci toccò scegliere, da genitori, se mandarlo un anno prima, e in quale scuola iscriverlo.

Dubbi amletici, parole, conferenze, open day, telefonate, colloqui con le maestre, summit familiari. Troppo.

Staccato il telefono, spento il pc, mi sono stesa sul mio letto e ho pensato a lui, semplicemente, cercando di fare una scelta osservando e pensando unicamente al figlio che ho.

Tre ore, e la scelta se e dove fu fatta e, visto che “non è importante che scelta si fa, ma come la si fa”, il giorno dopo, soddisfatta quantomeno del ragionamento, ho compilato i moduli e sono andata a iscriverlo a scuola.

Sono entrata nel sacro edificio un po’ timorosa, ho consegnato tutto in segreteria, e poi sono uscita con un sole di inizio primavera ben poco in linea con i miei tetri pensieri.

Pensieri dell’epoca mia, di una bambina dal cappotto rosso che varcava piangente la soglia della scuola, casualmente (quattro traslochi fa), a meno di un chilometro dalla futura scuola di Mattia.

Una bambina che il primo giorno di scuola si sedeva timida all’ultimo banco, aspettava invano una maestra che non arrivava, e vedeva facce sconosciute che la squadravano e le mostravano astucci e penne colorate.

Una bambina che aspettava con ansia la campanella dell’ultima ora, per paura di non riuscire a scorgere tra la folla all’uscita quella cinquecento gialla della mamma che la aspettava sorridente.

Una bimba che sapeva già leggere, ma se ne vergognava, e a volte per essere come gli altri zoppicava un po’, tra una doppia e l’altra, felice di sentirsi dire “Sai leggere sì, ma puoi fare meglio…”.

Una bimba che un giorno c’era la maestra Carla dal cognome di un fiore, e un altro la maestra Domenica dal cognome che non si ricorda più, e il giorno dopo ancora la maestra Fausta e poi la maestra Donatella.

Una bimba che all’ora di religione vedeva due compagni saltare sui banchi, che tanto la maestra oggi non viene e la bidella di note non ne fa.

Una bimba che poi in quarta entrava in un’altra scuola con un grande giardino, e qui una maestra c’era ma i libri di testo proprio non li usava.

Amava raccontare, spiegare la storia a modo suo, poetica e salutista, in jeans e capelli arruffati, bella dentro e fuori ma che per me non era una vera maestra. Dava del tu a tutti i genitori, organizzava gite nei boschi in mezzo al niente, ci portava a studiare e raccogliere fiori in giardino, ci insegnava a spazzare i pavimenti, ci insegnava teatro e recitazione, discuteva con mio padre di politica fino a tarda notte, a casa mia.

Se la conoscessi adesso la adorerei  ma allora per me era una specie di amica ma non era una maestra.

E così, in tutti questi anni, ho ancora della scuola elementare ricordi confusi, a sprazzi, un’accozzaglia di luoghi e di persone senza un punto di riferimento che possa dirsi tale.

Tutto ciò per dire che in questa serata di vento, che dell’estate dell’altro ieri non ha più nulla, spero solo che Mattia invece la sua maestra Rosetta che dir si voglia, in mezzo alle tenebre la possa trovare.

Questo post partecipa all’iniziativa Blogging sulla scuola italiana.

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3 risposte a un non ricordo di una non maestra

  1. lorenza ha detto:

    Io avevo una maestra Graziella che non era una bicicletta ma una donna con un fortissimi accento del Sud che ci permetteva di darle del tu. E’ stata con noi 5 anni. Non era un’amica, non era una maestra: è stata una donna che ci ha accompagnato. Bellissimo post!

  2. silvietta ha detto:

    dono raro, il tuo, Vale, quello di far apparire come una favola gli eventi. e di scegliere con il cuore, senza spegnere il pensiero. grazie per queste righe e buona scuola a Mattia. s.

  3. valewanda ha detto:

    Loe, grazie, il tuo è un post bellissimo… Forse la mia maestra era come la tua, ma io ai tempi sognavo una maestra classica coi capelli bianchi…
    Silvietta, grazie di cuore… ora passo da te, che sei sempre così speciale!

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